Dunque, se Dio vuole, siamo ufficialmente in campagna elettorale. Ufficialmente, poiché di fatto lo eravamo da mesi e da anni: sì, da anni, ceffoni sonori. E sgomitate, scandali, insulti, programmi eseguiti - ma dove sono? - che snocciolavano cifre come orari ferroviari o raccontavano amenità come libri - malriusciti - di favole, esibizioni, trucchi per rubare la scena, cattiverie derivate da una disgustosa personalizzazione della contesa ecc. I mezzucci a cui si ricorre quando non si hanno argomenti. E si arriva alla zuffa o al concorso di bellezza non si sa più perché. Speriamo in bene anche se un qualche pessimismo della ragione non è senza motivi.

       I politici, in questo periodo, terranno banco fino alla noia. Vorrei esprimere un augurio: una sorta di bigliettino di speranza messo in una bottiglia che consegno all'oceano delle chiacchiere. Faccio questo, rimandando al discorso che Giovanni Paolo II tenne il 4 novembre scorso durante il giubileo dei politici, quando proclamò sir Thomas More, cancelliere del re Enrico VIII, patrono, appunto, dei politici. Un brutto scherzo per questi ultimi. Una provocazione da parte del Papa.
       Il Papa segnala in Thomas More lo statista che seppe tener alta la testa di fronte al potente il quale gli chiedeva un'incoerenza verso la sua rettitudine umana e verso la fermezza della sua fede. Il Papa richiama poi la «legge naturale» come superiore all'ordinamento statuale, e la spiega senz'ombra di giusnaturalismo ottuso: essa «non è se non l'indicazione delle norme prime ed essenziali che regolano la vita morale», e cioè «i caratteri, le esigenze profonde e i valori più alti della persona umana». Si può pensare a quali esemplificazioni ricorre Giovanni Paolo II: vita e famiglia specialmente.
       I politici dovrebbero riflettere nel sentir chiamato il loro mestiere «vocazione» e «missione»: già Paolo VI aveva parlato di politica come di carità al servizio della convivenza civile. È troppo invitare i contendenti nella campagna elettorale a fornire qualche applicazione della loro tanto alta dignità?
       Il Patrono dei nostri futuri legislatori e governanti esige anche che si attui una giustizia la quale «non si contenti di dare a ciascuno il suo, ma tenda a creare tra i cittadini condizioni di eguaglianza nelle opportunità, e dunque a favorire quelli che per condizione sociale, per cultura, per salute rischiano di restare indietro o di essere sempre agli ultimi posti nella società, senza possibilità di personale riscatto». E il «rimuovere gli ostacoli» della nostra Costituzione (art. 3) e qualcosa di più. A cominciare dalla povertà considerata nel contesto della globalizzazione. Che c'è, per quanto la si tema e la si aborrisca.
       Non si ragioni per schemi preconcetti. Nessuno ha il monopolio dell'attenzione ai poveri. Men che meno quelli che dei poveri han bisogno per poter dire che fanno qualcosa. E li creano, se non ci sono. Dopo di che, si intuisce la necessità dell'onestà, della competenza e di un coraggioso spirito di servizio, ammesso che i politici non intendano tradire o salutare da lontano il loro Patrono. Il quale, come si sa, seppe andare incontro alla morte pur di onorare la propria responsabilità e di prestare alla gente la premura dovuta. Non si chiede tanto alle persone che si apprestano a legiferare e ad attuare quanto si è deciso. Almeno ci risparmino bugie perfino palesi e ricostruzioni fantasiose e promesse a vanvera. E mantengano la calma senza cedere a battute feroci o a barzellette squamanti. Non tutti sono dei Thomas More, il quale - è noto -, raggiungendo il patibolo, ebbe a dire al suo accompagnatore: «Mi aiuti a salire, per scendere farò da solo»; e al suo boia: «Su con la vita, figliolo, bada di fare centro per amore della tua onestà»; ed ebbe a confessare a se stesso, aggiustandosi la barba: «Questa barba non ha offeso il re». Il re, capìto? Laicamente. E non solo Dio.
       Auguri. Date un minimo di esempio, signori. La gente ha bisogno di disprezzarvi meno, se non proprio di stimarvi e di amarvi. E vi chiamate «onorevoli». Perché? Noi, persone comuni, abbiamo bisogno di informarci il più possibile oggettivamente. Non è facile, poiché la grancassa suona da uno spartito solo e sembra fare della claque più che fornirci i dati in base ai quali decidere con cognizione di causa. A costo di qualche fatica, occorre che ci documentiamo sufficientemente. Già la ritrosia verso la politica, quando questa va oltre i volti e gli strilli, è un risultato raggiunto da una insensibile e pervasiva «macchina del consenso».
       San Thomas More, prega per noi e per i votabili.

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